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Case vacanza e smart working, due mondi che vanno a braccetto

immagine di una ragazza che fa smart working

Il fenomeno dello smart working, a maggior ragione influenzato dall’emergenza sanitaria globale, negli ultimi anni è cresciuto e sta vedendo una crescita anche nel presente, nonostante il cosiddetto ritorno di massa in ufficio. Con esso, però, è cresciuta anche la durata media delle prenotazioni. Da dove viene questo rapporto quasi complementare? Partiamo dai dati, entrando nel merito: la durata media dei soggiorni è cresciuta, negli ultimi due anni, del 15% circa, mentre i soggiorni superiori a 7 giorni rappresentano invece la metà delle prenotazioni. Questo è ciò che viene fuori dall’ultimo studio dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali e di Airbnb in merito appunto al rapporto tra smart working e property management.

Tutto questo non è stato influenzato solo dalla pandemia, sia chiaro, ma soprattutto dalle nuove abitudini lavorative e di vita, le quali sono caratterizzate dallo smart working molto di più rispetto al passato e da una flessibilità della propria gestione degli orari e dei luoghi di lavoro che possiamo registrare in così grande prevalenza solo nella più stretta attualità. Airbnb, per esempio, sempre negli ultimi due anni ha registrato questi dati: “1 notte su 5 prenotata nel terzo trimestre del 2021 ha riguardato soggiorni di 28 giorni o più; i soggiorni di 28 o più notti restano la categoria a maggior crescita e hanno rappresentato il 22% delle notti nell’ultimo trimestre del 2021, in crescita del 16% rispetto all’ultimo trimestre del 2019; quasi il 50% delle notti prenotate nel terzo trimestre del 2021 riguardava soggiorni di almeno sette giorni, rispetto al 44% del 2019”. (Fonte: Il Sole 24 Ore).

Al contempo, l’Associazione Italiana Nomadi Digitali ha intervistato un campione di circa 2.000 smart workers e ha predisposto un nuovo identikit dei cosiddetti “nomadi digitali”, ovvero tutte quelle figure lavorative che tendono a lavorare da remoto in diverse parti del mondo, viaggiando e spostandosi continuamente. E per quanto riguarda la fascia d’età, è curioso che se prima questa tipologia di lavoratore rappresentava i giovani tra i 20 e i 25 anni, single e professionisti del digitale, ora racchiude i professionisti senior over 35 che decidono – con il partner o senza – di viaggiare e cambiare “base lavorativa” ogni tre mesi.

E sono proprio le località più esotiche e calde quelle maggiormente scelte da questa categoria: il mare, le isole, i laghi, il sud Italia. Ecco perché anche l’Italia è tornata, in questo contesto, a fare la voce grossa per quanto riguarda scelte di destinazione e sbarco in ottica smart working.

Smart working e case vacanza: il fenomeno del “remote worker”

Possiamo dare un nome preciso a questa tipologia di persona: il remote worker. Il fenomeno del remote worker interessa principalmente le donne (che rappresentano il 54% degli intervistati durante gli studi che stiamo raccontando), con un età compresa tra i 25 e i 44 anni. A livello professionale, invece, parliamo di professionisti del mondo della tecnologia, del marketing e della comunicazione, con un alto livello di istruzione e in molti casi in compagnia del proprio partner (44%) o del nucleo famigliare (23%), in casi molto minori in situazioni di celibato. Ecco quindi che, per scongiurare facili luoghi comuni, non è più il giovane sbarbatello freelance a decidere di scappare dalla vita quotidiana lavorativa per rifugiarsi in spiaggia con il proprio computer: lo sono anche tante altre categorie, dimostrazione che il mercato del lavoro – almeno per quanto riguarda l’approccio alla professione – sta cambiando pelle ogni mese che passa.

Le attività che vorrebbero maggiormente sperimentare e che interessano di più remote worker e nomadi digitali sono: gli eventi culturali e quelli enogastronomici (60%), seguiti da attività a contatto con la natura (51%), esperienze originali e caratteristiche del territorio (40%) e da attività di socializzazione con la comunità locale (37%). Durata del soggiorno? L’esperienza per molti potrebbe andare da 1 a 3 mesi (42%), oppure da 3 a 6 (25%). Complessivamente, per quasi un nomade digitale 1 su 2, la permanenza potrebbe durare oltre i 3 mesi e fino a 1 anno (45%)”. (Citazione dall’articolo de Il Sole 24 Ore “Case vacanza, con lo smart working cresce la durata media delle prenotazioni“.

Ma quali sono gli aspetti e le caratteristiche che un remote worker trova alla base della sua scelta di trasferirsi in un posto diverso dalla sua residenza ordinaria? Principalmente la qualità della connessione a Internet (il 65% degli intervistati durante lo studio), ma soprattutto il costo della vita (61% delle persone) le attività culturali e sociali del luogo (40%) e la possibilità di sperimentare le tradizioni locali (37%). (Fonte: Air Bnb).

«Attrarre remote worker e nomadi digitali nel nostro Paese rappresenta una grande opportunità per differenziare l’offerta turistica tradizionale e sviluppare progetti innovativi con un forte impatto sociale. Temi come il lavoro da remoto e il nomadismo digitale, se seriamente considerati, possono contribuire a ridurre il divario economico, sociale e territoriale in Italia».

Alberto Mattei, presidente dell’Associazione italiana nomadi digitali.

E voi? Avete già intenzione di trasferirvi all’estero per lavorare da remoto?